23 maggio 2007

Seminario acqua a Geologia

Il 25 maggio 2007 alle ore 14.30
e il 28 maggio 2007 alle ore 14.30

a ROMA nell’Università La Sapienza,
piazzale Aldo Moro 5,
edificio di Geologia, aula 11 (primo piano)
si svolgerà un seminario dal titolo:

"LA TERRA HA SETE…RIPRENDIAMOCI L’ACQUA!!!”

Venerdì 25 maggio e lunedì 28 maggio 2007, nell’edificio di Geologia dell’Università La Sapienza di Roma, si terrà un seminario dal titolo “LA TERRA HA SETE…RIPRENDIAMOCI L'ACQUA!!!”, organizzato dal collettivo di Scienze. Il seminario vuole sottolineare come l’acqua, bene fondamentale per la vita di tutti gli esseri viventi, stia subendo danni enormi a causa dell’azione dell’uomo e di come sempre più frequente nel mondo sia il tentativo (a volte riuscito) delle società private di rendere l’acqua una merce, in contraddizione con quello che riteniamo essere un concetto fondamentale, e cioè che l’acqua è un bene di tutti e in quanto tale non può diventare oggetto di profitto.

Il seminario è diviso in due giornate.
Nella giornata del 25 maggio si parlerà degli aspetti scientifici della risorsa acqua e di come l’uomo abbia un impatto dannoso su di essa. Parlerà il professor Marco Petitta, idrogeologo del Dipartimento di Scienze della Terra, con un intervento dal titolo “Le risorse idriche sotterranee tra sistema naturale e pressione antropica". Interverrà poi il professor Mario Dall’Aglio, titolare della cattedra in Geochimica Ambientale nello stesso Dipartimento, insieme a Sabrina Vella e Giovanna Sposito con l’intervento “Acqua: alimento fondamentale e madre della vita”. A seguire ci sarà l’intervento del professor Roberto Argano, professore di Zoologia all’Università La Sapienza dal titolo "I fossili viventi delle acque sotterranee" e infine parlerà Laura Mancini, dell’Istituto Superiore di Sanità con una relazione intitolata: "La voce del fiume".
La giornata del 28 inquadrerà invece da un punto di vista socio-economico il “problema acqua” , puntando l’attenzione su come questa risorsa stia sempre più diventando una merce nell’economia globale, e di come si possa invece tutelarla
Interverranno: Giuseppe De Marzo (ASUD), Paola Carra (Attac Roma) e Marco Bersani (Attac Italia).
Durante il seminario sarà possibile firmare per la campagna di iniziativa popolare
“acqua bene comune” (http://www.acquabenecomune.org/)

firmato: collettivo di Scienze, università La Sapienza di Roma

03 aprile 2007

Le basi U.S.A. in Italia

Cosa sono e perché ci sono.

Le basi militari sono luoghi utilizzati dalle forze armate per depositare armi, mezzi, velivoli, uomini, antenne radar utili al controllo dello spazio aereo, per addestrare le truppe e permettere il loro soggiorno. Le zone occupate dalle basi sono chiamate “servitù militari”, perché sono parti di territorio totalmente asservite alle forze armate. In queste zone nessun cittadino ha la possibilità di costruire fabbricati o utilizzare terreni agricoli. Le leggi n. 898 del 24.12.1976 e n. 104 del 02.05.1990 prevedono l’erogazione di un indennizzo in denaro a tutti coloro che hanno proprietà in zona asservita, (dove per proprietà si intende un terreno agricolo o una costruzione) proprio perché quelle zone sono inutilizzabili una volta cedute alle forze armate.

Le basi possono avere estensioni e scopi diversi. Ci sono basi che consistono “semplicemente” in depositi di munizioni, altre che hanno impianti radar per il controllo dei cieli, altre ancora sono stazioni di tele-comunicazione. Esistono grandi basi che si estendono per decine e decine di ettari e nelle quali vengono depositate armi, mezzi militari, aerei, truppe, e sono dotate di piste per il decollo e l’atterraggio dei velivoli, e ce ne sono altre navali e sottomarine, che supportano quindi l’attività della marina militare.

In Italia ci sono molte basi militari: una parte sono italiane e sono quindi usate esclusivamente dalle forze armate italiane, ma in virtù di accordi segreti attuati nel dopoguerra con gli USA, ve ne sono molte appartenenti alla NATO ed altre ancora unicamente usate dalle forze armate americane.

Dal rapporto ufficiale del Pentagono, “Base Structure Report 2005”, risulta che le forze armate statunitensi possiedono nel nostro paese 1.614 edifici, con una superficie di 892 mila metri quadri, e hanno in affitto 1.190 edifici, con una superficie di 886 mila m2. Il personale addetto a tali basi ammonta a 14.000 militari e 5.140 civili, per un totale di circa 20 mila persone.

Da un “censimento” fatto dalla rivista “Carta” nel 2003, risulta che le installazioni militari statunitensi in Italia sono 113.

L’elenco completo di queste basi-installazioni è consultabile sul web
all’indirizzo: www.carta.org/rivista/settimanale/2003/06/06elencobasi.htm

(nella figura qui a sinistra: la dislocazione delle basi USA e NATO in Italia- fonte: rivista "Carta"- www.carta.org )




Le zone occupate da basi militari americane godono di extra territorialità, e nessun italiano (né la magistratura, né i parlamentari, né i giornalisti, né le forze dell’ordine) hanno il diritto e la possibilità di entrarvi. Essi non possono quindi vedere cosa ci sia al loro interno e cosa venga fatto.
Godono di extraterritorialità anche le ambasciate, in ogni parte del mondo, ma è facile capire che un edificio che ospita una ambasciata è molto diverso in confronto ad una zona di territorio ampia diversi
ettari e piena di armamenti…

Per queste ultime si tratta in pratica di micro-stati, zone non italiane, come può essere per san Marino o per la città del Vaticano. Con la differenza che a san Marino e san Pietro non vi sono arsenali pieni di bombe e carri armati.

Il fatto che queste basi godano di extraterritorialità permette alle forze armate anche un’altra cosa: essi possono avviare operazioni belliche in qualsiasi momento senza chiedere il permesso allo Stato della Repubblica italiana (nella cui costituzione, ricordiamolo, all’articolo 11 c’è scritto: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”). Il nostro territorio è quindi semplicemente una rampa di lancio.



Le basi U.S.A. o più in generale della Nato, in Italia, sono state costruite in buona parte all’indomani della seconda guerra mondiale, nel periodo della guerra fredda fra il blocco sovietico e quello atlantico.
Avevano lo scopo di “proteggere” l’Italia da un eventuale espansione dell’URSS e permettevano agli USA di attestare truppe e mezzi militari a pochi chilometri dai paesi del blocco sovietico. L’Italia si trova a poche decine di chilometri dalla ex-Iugoslavia, che a quei tempi era sotto il controllo sovietico, e questo ne ha fatto un importantissimo avamposto, un territorio di gran rilevanza strategica.

Gli Stati Uniti hanno portato avanti per tutti i decenni del dopoguerra, fino agli anni 90 (caduta dell’URSS) un controllo fortissimo dell’Italia (così come nelle altre nazioni dell’Europa occidentale), per impedire che si affermasse il comunismo.
Recentemente dopo anni e anni di indagini da parte dei magistrati italiani, rese assai complicate dai depistaggi e dai segreti di stato, è emerso che esistevano nel nostro Paese, nascoste all’interno delle basi della Nato, bande paramilitari clandestine che avevano come scopo quello di entrare in azione non appena vi fosse stato un pericolo di invasione sovietica dell’Italia. Una di queste formazioni paramilitari era GLADIO, che la magistratura italiana ha considerato recentemente “organizzazione eversiva dell’ordine costituzionale”. Quello che i magistrati hanno sottolineato è che queste bande non svolgevano solo un ruolo di difesa “aspettando al varco il nemico comunista”, ma agivano attivamente nel territorio italiano per condizionare pesantemente la vita politica e i risultati delle elezioni.

Una delle azioni su cui essi avevano una certa influenza è quella nota sotto il nome di “strategia della tensione”: attraverso attentati tremendi che causavano stragi di civili la cui colpa veniva addossata a gruppi di sinistra, si creava un clima di tensione, si criminalizzavano i tanti movimenti di lotta e lo stesso partito comunista, spostando da sinistra a destra l’ago della bilancia dei risultati elettorali.
È ormai provata la stretta relazione fra attentatori (neofascisti) e strutture segrete anche internazionali, fra cui non mancano i servizi segreti americani, in numerosi attentati avvenuti negli anni 60-70 in Italia. Le basi americane avevano in quest’ottica il ruolo di nascondiglio per i paramilitari, oltre che di luoghi per l’addestramento.
Altra cosa assai grave (dal momento che l’Italia è una Repubblica nella quale la sovranità appartiene al popolo, il quale la esercita attraverso le elezioni), è che questo esercito segreto nascosto nelle basi americane dislocate in Italia, sarebbe potuto entrare in azione anche nel caso di vittoria dei comunisti alle elezioni.
È per questo che i magistrati hanno definito Gladio una formazione eversiva dell’ordine costituzionale.
[su questo argomento esiste una quantità enorme di materiale, parte del quale è ormai definitivamente provato e non più una pura “ipotesi”. Troppo lungo sarebbe parlarne in questo articolo, ma è importante sapere che in libreria così come su internet sono presenti moltissimi documenti a riguardo]
(nella foto: 12 dicembre 1969, bomba di piazza fontana)

La conclusione di questa parentesi è dunque che grazie alle basi gli Usa hanno potuto tenere sotto controllo l’Italia durante la guerra fredda.
Ma oggi, viene da chiedersi, perché le basi americane sono ancora qui, se la guerra fredda è finita da sedici anni?
L’assetto geopolitico mondiale si è evoluto tantissimo dagli anni ‘90 ad oggi e tuttora sta cambiando. Ci sono nuovi rapporti di forza fra le potenze, gli Stati Uniti sono diventati la maggior potenza militare ed economica (sempre più contrastati però dalla Cina, che cresce a ritmi enormi) e sono impegnati in quella che essi chiamano “global war at terror” cioè la guerra globale al terrore. Dall’attacco alle torri di New York dell’11 settembre 2001 (terribile attentato in cui morirono tremila civili e su cui però ancora vi sono da chiarire molte cose, come dimostra la crescente quantità di cittadini americani che dopo essersi documentati hanno espresso grandi dubbi sulla versione ufficiale data dal governo americano), gli USA hanno portato la guerra in Afghanistan e Iraq, accusando questi due paesi di essere basi del terrorismo islamico, e accusando l’Iraq di possedere armi di distruzione di massa (fatto che si è poi rivelato una falsità).

È evidente che il reale interesse degli USA è rivolto alle risorse energetiche presenti in medio-oriente (ed è questo il reale motivo delle guerre in Afghanistan e in Iraq e della grande preoccupazione” dimostrata dall’amministrazione Bush nei confronti di un’altra nazione ricca di petrolio: l’Iran).

Basta dare un’occhiata ad una carta geologica o ad una mappa che evidenzi la dislocazione dei giacimenti petroliferi, metaniferi ecc, per vedere come le zone “calde” del pianeta, quelle dove sono presenti conflitti o forti tensioni, sono proprio quelle dove maggiore è la quantità di risorse energetiche.
E i paesi bombardati dagli USA nella guerra al terrorismo, sono guarda caso fra i più ricchi di petrolio al mondo.

Ebbene, le basi americane dislocate in Europa e Italia hanno oggi un nuovo ruolo: servono come avamposto per le azioni belliche in medio-oriente e nell’Africa, e non è escluso che possano servire un domani per nuove guerre su altri fronti, sempre nel quadro della “global war at terror”.

Sono già servite per le azioni belliche della Nato in Kosovo del 1999 (gli aerei che hanno bombardato la Serbia dal 24 marzo al 9 giugno 1999 decollavano dalle basi militari poste in Italia, oltre che da portaerei ubicate nell’Adriatico), per le azioni degli USA in Afghanistan nel 2001 e per quelle in Iraq nel 1991 e nel 2003…(Da Camp Derby, base militare nei pressi di Livorno, è partito il 60% delle munizioni destinate alla prima guerra del golfo, e cifre simili si sono ripetute nel 2003).

Il fatto che le basi americane in Italia servano da avamposto per le guerre verso il sud del mondo sono fantasie di qualche pacifista? No.
Quale sia il ruolo di queste basi risulta evidente dal Rapporto presentato il 9 maggio 2005 al Presidente e al Congresso degli Stati uniti dalla Commission on Review of Overseas Military Facility Structure of the United States, disponibile sul web alla pagina

http://www.fas.org/irp/agency/dod/obc.pdf
«La rete globale delle basi statunitensi – si afferma nel rapporto – è lo scheletro su cui si modellano la carne e i muscoli della nostra capacità operativa», il cui scopo principale è quello di «perseguire i nostri interessi nel mondo». In tale quadro «la presenza statunitense in Europa resta cruciale».

Sempre da documenti ufficiali risulta che le basi statunitensi in Italia ed Europa servono a «mantenere l’influenza e la leadership statunitensi nella Nato: nella misura in cui rimangono in Europa significative forze statunitensi, la leadership può essere mantenuta». E’ dunque un documento ufficiale al massimo livello a dichiarare esplicitamente che la presenza militare statunitense in Europa serve non solo a proiettare forze nelle aree di interesse strategico, ma a mantenere l’Europa sotto la leadership statunitense.

Geografia delle basi.


Ecco una descrizione delle più grandi basi americane in Italia.

Aviano. [Pordenone]. È la più grande base avanzata, deposito nucleare e centro di telecomunicazioni dell'Usaf in Italia [ospita almeno tremila militari e civili americani ]. Nella base sono dislocate le forze operative pronte al combattimento dell'Usaf [un gruppo di cacciabombardieri]. Vi sono inoltre la Sedicesima Forza Aerea ed il Trentunesimo Gruppo da caccia dell'aviazione Usa, nonché uno squadrone di F-18 dei Marines. Si presume che la base ospiti, in bunker sotterranei la cui costruzione è stata autorizzata dal Congresso, decine di bombe nucleari, nel quadro di un accordo segreto e perciò mai discusso in parlamento (chiamato Stone Ax). Queste bombe nucleari sono solo una percentuale delle 480 armi atomiche dislocate in basi militari in tutta Europa,nel quadro dell’accordo NATO sulla “condivisione nucleare” [vedi il dossier di Greenpeace disponibile sul web all’indirizzo
http://p2-raw.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/rapporti/disarmo.pdf ]

Camp Ederle [Vicenza]. Quartier generale della Nato e comando della Setaf della Us Army, che controlla le forze americane in Italia, Turchia e Grecia. In questa base vi sono le forze da combattimento terrestri: un battaglione aviotrasportato, un battaglione di artiglieri con capacità nucleare, tre compagnie del genio. Importante stazione di telecomunicazioni. I militari e i civili americani che operano a Camp Ederle dovrebbero essere circa duemila.
A Vicenza è prevista la costruzione di una nuova base, nella zona dell’ex aeroporto Dal Molin:si parla di “allargamento” perché essa andrebbe ad appoggiare la già presente base di Ederle, ma il territorio sul quale verrà costruita è attualmente privo di installazioni militari. Contro questo progetto centinaia di migliaia di italiani si stanno mobilitando in questi mesi, sia per motivi ambientali che, soprattutto, per motivi politici di ripudio alla guerra.

Ghedi [Brescia]. Base dell'Usaf, stazione di comunicazione e deposito di bombe nucleari (una stima parla di 40 ordigni).


Camp Darby [Pisa]. Il Setaf (task force sud-europea) ha qui il più grande deposito logistico del Mediterraneo [circa 1.400 uomini e una quantità impressionante di munizioni, bombe, mezzi militari]. La base è


strettamente collegata tramite una rete di canali al vicino porto di Livorno, base di rifornimento delle unità navali di stanza nel Mediterraneo.
Camp Derby è anche l’ottavo gruppo di supporto Usa ed è Base dell'Ua Army per l'appoggio alle forze statunitensi al Sud del Po, nel Mediterraneo e nell'Africa del Nord. È da qui che sono partiti, a bordo di navi, gran parte dei mezzi e delle munizioni destinati all’Iraq, sia nella prima che nella seconda (e attuale) guerra del Golfo in Iraq. È in seguito a oscuri e ancora non noti movimenti di mezzi navali americani davanti al porto di Livorno che la sera del 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince è andato a sbattere contro una petroliera che si trovava alla fonda; morirono quella sera 140 persone. Gli Usa non hanno mai collaborato con gli italiani per fare luce sulla vicenda, e tuttora ci sono molte cose ancora da chiarire.
Nell’estate del 2000 invece, a causa del cedimento dei soffitti di otto depositi di munizioni presenti nella base, si creò una situazione di emergenza: in dodici giorni si dovettero rimuovere con robot telecomandati (data la pericolosità dell’operazione) oltre 100 mila munizioni, con un peso netto esplosivo di oltre 240 quintali, senza che né le autorità civili nè la popolazione fossero informate. Per rimuovere una vecchia bomba della seconda guerra mondiale trovata in qualche campo invece, si evacua la popolazione da tutta la zona circostante. E se qualcosa fosse andato storto? (nella foto: la recinzione intorno Camp Darby)

Capo Teulada [Cagliari]. Da Capo Teulada a Capo Frasca [Oristano ], all'incirca 100 chilometri di costa, 7.200 ettari di terreno e più di 70 mila ettari di zone "off limits": poligono di tiro per esercitazioni aeree ed aeronavali della Sesta flotta americana e della Nato. Spiagge bellissime vengono devastate durante le esercitazioni (esercitazioni in cui vengono usati proiettili e bombe vere).
Fra il 2003 e il 2004, i pescatori sardi della zona di Capo Teulada, hanno dato luogo a una serie di coraggiose proteste contro le continue esercitazioni aeronavali, violando il divieto di navigazione. I mass-media, in modo vergognoso, non diedero alcuna notizia di quelle proteste. Soltanto grazie alla stampa alternativa, alla “contro-informazio-ne” attraverso giornali liberi e radio-tv via web la notizia ha potuto girare. I pescatori uscirono in mare nonostante il categorico divieto dei militari americani, che addirittura rivolsero contro di loro alcuni colpi, per fortuna andati a vuoto. I pescatori chiedevano di riavere il “loro” mare, di poter pescare liberamente. E soprattutto chiedevano la bonifica di una vastissima zona di mare, totalmente inquinata da migliaia e migliaia di munizioni sparate durante le esercitazioni…
Nell’estate del 2004 alcuni proiettili sparati da una nave finirono per sbaglio a pochi metri dalle sdraio di alcuni turisti che prendevano il Sole su una spiaggia della zona. Per fortuna non vi furono conseguenze.

Napoli. Comando del Security Force dei Marines. Base di sommergibili Usa. Comando delle Forze Aeree Usa per il Mediterraneo. Porto normalmente impiegato dalle unità civili e militari Usa. Si calcola che da Napoli e Livorno transitino annualmente circa cinquemila contenitori di materiale militare.

San Bartolomeo [La Spezia]: Centro ricerche per la guerra sottomarina. Composta da tre strutture. Innanzitutto il Saclant, una filiale della Nato che non è indicata in nessuna mappa dell'Alleanza atlantica. Il Saclant svolgerebbe non meglio precisate ricerche marine. Poi c'è Maricocesco, un ente che fornisce pezzi di ricambio alle navi. E infine Mariperman, la Commissione permanente per gli esperimenti sui materiali da guerra, composta da cinquecento persone e undici istituti [dall'artiglieria, munizioni e missili, alle armi subacquee].

Sigonella [Catania]. Principale base terrestre dell'Us Navy nel Mediterraneo centrale, supporto logistico della Sesta flotta [circa 3.400 tra militari e civili americani ]. Oltre ad unità della Us Navy, ospita diversi squadroni tattici dell'Usaf: elicotteri del tipo HC-4, caccia Tomcat F14 e A6 Intruder, gruppi di F-16 e F-111 equipaggiati con bombe nucleari del tipo B-43, da più di 100 kilotoni l'una.

La base militare di Sigonella è nota in Italia per esser stata teatro di un evento storico:
Era il 12 ottobre 1985: pochi giorni prima un commando di palestinesi del Fronte di Liberazione della Palestina aveva preso in ostaggio oltre 400 passeggeri della nave italiana Achille Lauro, vicino alle coste dell’Egitto, chiedendo la liberazione di alcuni palestinesi arrestati. Un passeggero americano era stato ucciso. L’esito del sequestro fu la resa dei terroristi, che vennero fatti salire su un aereo egiziano diretto in Tunisia. Durante il volo però, quattro caccia americani costrinsero l’aereo civile a cambiare rotta e ad atterrare sulla pista della base americana di Sigonella, in Sicilia. Gli americani volevano infatti impadronirsi del commando, ma l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi assunse una posizione di fermezza: “l’omicidio del turista americano è avvenuto in territorio italiano (sulla nave Achille Lauro) e perciò i palestinesi devono essere processati dalla giustizia italiana”, disse.
L’aereo egiziano, fermo sulla pista di Sigonella, fu accerchiato dai militari americani in tenuta da combattimento, ma per ordine della Difesa italiana furono fatti schierare a loro volta, attorno agli americani, i carabinieri italiani.
Furono momenti di tensione estrema, con il rischio di uno scontro a fuoco fra forze armate di due paesi alleati.
Alla fine gli americani rinunciarono all’accerchiamento e i dirottatori furono arrestati e consegnati alla giustizia italiana. Si è trattato di uno dei rari casi, se non l’unico, in cui l’Italia ha tenuto alta la testa nei confronti degli USA, non assecondando le sue richieste
.

- Lorenzo Pasqualini-

03 febbraio 2007

9 anni fa, la strage del Cermis


Il giorno 3 febbraio '98 alle ore 13.36,
la missione EASY 01 costituita da un velivolo EA6B del VMAQ-2 del Corpo dei Marines degli Usa rischierato sulla base di Aviano in supporto all'operazione DELIBERATE GUARD, decollava per una missione addestrativa prepianificata di navigazione a bassa quota.
[...]
Il velivolo EA6B della missione EASY 01 alle ore 14.13Z circa, impattava i cavi della funivia che dall'abitato di Cavalese porta al monte Cermis e che in quel punto si trovavano ad un'altezza da fondo valle stimata tra i 300 ft. e 400 ft.
Il velivolo è entrato in collisione con i cavi della funivia mentre la cabina passeggeri, in fase di discesa, si trovava ad una distanza di circa 300 metri dalla stazione di arrivo.

Il punto d'impatto è stato stimato a 50 metri circa di distanza dalla cabina, a valle della stessa.L'impatto provocava l'istantanea rottura dei cavi portante e traente del segmento occidentale compreso fra la stazione a valle dell'impianto ed il primo pilone di sostegno.La cabina precipitava al suolo e tutte le venti persone trasportate decedevano.

Tratto dalla RELAZIONE TECNICA SULL'INCIDENTE DI VOLO OCCORSO ALL'AEROMOBILE EA6B DELL'U.S.M.C. IN DATA 03 FEBBRAIO 1998 IN LOCALITA' CAVALESE (TN)

Sono passati 9 anni dalla strage del Cermis, quando un aereo militare americano, un caccia guidato da un marine di nome Richard Asbhy, tranciava con la coda la fune portante e quella traente della funivia che collega Cavalese all'Alpe del Cermis, in provincia di Trento.


La funivia si schiantò al suolo dopo un volo di 100 metri, e tutte le venti persone che si trovavano al suo interno morirono.
I piloti dell'aereo invece, facevano comodamente ritorno alla base militare americana di Aviano,
una delle più grandi d'Italia, nella quale fra l'altro si trovano molto probabilmente decine di ordigni nucleari statunitensi.

Il governo italiano di allora disse: "faremo chiarezza, i colpevoli verranno puniti".

Ma i marines colpevoli di quella strage, delinquenti che hanno usato il loro aereo senza rispettare le regole di volo, non sono mai stati incriminati: il 4 marzo del 1999 il tribunale militare americano li ha assolti ed essi non pagheranno mai per le loro colpe.

link:

25 gennaio 2007

Vicenza: appello alla mobilitazione


E' arrivato a Carta Vetrata l'appello del presidio permanente contro la base americana al Dal Molin di Vicenza, per una manifestazione nazionale di protesta il 17 febbraio.
L'appello è stato mandato come post all'articolo "Vicenza dice no alla base", pubblicato qualche tempo fa.
Pubblichiamo il post qui sotto per renderlo più visibile.

17 FEBBRAIO: MANIFESTAZIONE NAZIONALE A VICENZA
IL FUTURO è NELLE NOSTRE MANI:DIFENDIAMO LA TERRA PER UN DOMANI SENZA BASI DI GUERRA

Presidio Permanente, Vicenza 23 gennaio 2007.
Dopo che per mesi Governo e Comune si sono rimpallati la responsabilità della decisione, l’Esecutivo nazionale ha ceduto all’ultimatum statunitense: «il Governo non si oppone alla nuova base Usa», ha sentenziato Romano Prodi. Dopo appena due ore, migliaia di vicentini sfilavano per le strade del centro cittadino.Chi pensava di aver chiuso la partita ha dovuto ricredersi, perché Vicenza si è mobilitata, ha Invaso le strade, ha costruito il presidio permanente. Otto mesi di mobilitazioni, culminate con la grandiosa manifestazione dello scorso 2 dicembre – quando 30 mila persone sfilarono dalla Ederle al Dal Molin, hanno dimostrato la forte contrarietà della popolazione alla nuova installazione militare. Ma il Governo, dopo aver più volte ribadito la centralità dell’opinione della comunità locale, ha ceduto agli interessi economici e militari.In tutto questo pesa come un macigno anche la posizione dell’Amministrazione Comunale che, forte dell’assenso dato dal Governo Berlusconi all’operazione, prima ha nascosto ai cittadini il progetto per tre anni e poi, snobbando la contrarietà della popolazione, lo ha approvato durante un Consiglio Comunale blindato e contestato; infine ha negato ai cittadini la possibilità di esprimersi attraverso il referendum.

Nonostante tutto questo a Vicenza è successo qualcosa di nuovo: Vicenza non si è arresa alle imposizioni. In questo percorso abbiamo trovato donne e uomini, studenti e anziani, lavoratori e professionisti; li abbiamo incrociati nelle mobilitazioni, abbiamo discusso con loro alle assemblee pubbliche ed ai convegni.

Insieme abbiamo costruito il Presidio Permanente, un luogo attraversato da migliaia di persone in pochi giorni.
Vicenza non si è arresa alle imposizioni.
Vicenza non vuole una nuova base militare al Dal Molin.
Vicenza si è mobilitata.
Migliaia di persone hanno occupato i binari della stazione appena due ore dopo la conferenza stampa di Romano Prodi; e nei giorni successivi una serie di iniziative, dalla manifestazione degli studenti ai presidi in Municipio e in Prefettura, hanno confermato la determinazione dei cittadini.La nostra città ha riscoperto la dimensione comunitaria e popolare, ha riattivato le reti di solidarietà che in altri contesti – per esempio a Scanzano Ionico o in Val di Susa – hanno permesso di fermare dei progetti devastanti.

Da ogni parte d’Italia ci è arrivata un immensa solidarietà, un caloroso sostegno. Manifestazioni e presidi si sono svoltI in questi giorni in ogni angolo del Paese. Contro una scelta contrastata dalla comunità locale ovunque si manifesta e si discute.

Il nostro cammino è appena all’inizio. Nulla si è concluso con l’espressione del parere governativo. Cittadini, associazioni e organizzazioni sindacali hanno deciso di opporsi; molti parlamentari si sono auto-sospesi.

Vicenza vuole fermare questo scempio, se necessario anche seguendo l’invito di molti a mettere pacificamente in gioco i propri corpi.

Vogliamo dare una voce unitaria, pacifica e determinata a questo sdegno.

Vicenza chiama tutti a mobilitarsi contro la militarizzazione di una città, contro la costruzione di una base che sorgerà a meno di due chilometri dalla basilica palladiana, consumerà tanta acqua quanta quella di cui hanno bisogno 30 mila cittadini, costerà ai contribuenti milioni di euro (il 41% delle spese di mantenimento delle basi militari Usa nel nostro territorio è coperto dallo Stato Italiano), sarà l’avamposto per le future guerre.Vicenza vuole costruire una grande manifestazione nazionale per il 17 febbraio; vogliamo colorare le nostre strade con le bandiere arcobaleno e quelle contro il Dal Molin, ma anche con quelle per la difesa dei beni comuni e della terra, del lavoro e della dignità e qualità della vita. Un corteo plurale e popolare, capace di aggregare le tante sensibilità che in questi mesi hanno deciso di contrastare il Dal Molin, perché siamo convinti che le diversità siano un tesoro da valorizzare così come l’unità sia uno strumento da ricercare per vincere questa sfida.Ai politici e agli uomini di partito che condividono la responsabilità di Governo locale e nazionale rivolgiamo l’invito a partecipare senza le proprie bandiere; vi chiediamo un segno di rispetto verso le tante donne e i tanti uomini che in questi giorni si sono sentiti traditi dai partiti e dalle istituzioni; vi chiediamo, anche, di valorizzare la scelta di quanti, in questi giorni, hanno scelto di dimettersi o auto-sospendersi in segno di protesta. Una protesta che, auspichiamo, dovrà avere ulteriori riscontri se il Governo non recederà dalle sue decisioni.

Noi siamo contro il Dal Molin per ragioni urbanistiche, ambientali, sociali; ma, anche, perché ripudiamo la guerra. Proprio per questo non accettiamo alcun vergognoso baratto con il rifinanziamento della missione in Afghanistan.La nostra lotta non si è esaurita.
A Vicenza, il 17 febbraio, contro ogni nuova base militare, per la desecretazione degli accordi bilaterali che regolano la presenza delle basi, per la difesa della terra e dei beni comuni, per un reale protagonismo delle comunità locali e dei cittadini.Il futuro è nelle nostre mani: difendiamo la terra per un domani senza basi di guerra. Il 17 febbraio tutti a Vicenza!

Presidio Permanente contro il Dal Molin
Per info e adesioni
nodalmolin@libero.it
Web www.altravicenza.it

16 gennaio 2007

Vicenza dice NO alla base U.S.A.



(nella foto: la manifestazione del 2 dicembre 06 a Vicenza, contro la base americana)

Una grande base militare che serva come deposito di mezzi, armi e uomini pronti per essere utilizzati in medio-oriente per future guerre: questo è il progetto degli americani, che vogliono installare nella zona dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza la base logistica della 173esima brigata avio-trasportata statunitense.

Nel progetto degli americani tutta la zona del “Dal Molin” che sorge a pochissima distanza dal centro della cittadina veneta, dovrà diventare zona militare.

In quella zona verranno depositati una sessantina di tank, 85 corazzati di vario tipo, 14 mortai pesanti semoventi, aerei spia, obici, postazioni lanciarazzi ecc. ecc. (l’elenco sarebbe lungo). Verranno costruite palazzine per alloggiare i circa duemila militari statunitensi che verranno qui stanziati e poi tutto ciò che serve a far esistere una base militare: supermercati, bar, palestre, campi sportivi, per far si che la base possa vivere autonomamente, come fosse un pezzo di Stati Uniti in Italia, senza dover entrare in contatto con il nostro territorio.

E’ così che funzionano le basi infatti: sono isole, zone dove lo stato italiano non ha sovranità, (non per niente si chiamano “servitù militari”). La differenza da quelle appartenenti alle forze armate italiane però, è che quelle americane sono coperte da segreto militare e non c’è verso neanche per la magistratura e il mondo politico (figuriamoci quello giornalistico) italiano sapere cosa accade al loro interno.
La costruzione della base a Vicenza non sarebbe una novità per l’Italia: nel nostro paese di basi americane ce ne sono infatti a decine. Alcune sono unicamente degli USA, altre appartengono alla NATO. Negli anni della guerra fredda avevano una forte utilità per gli USA, perché permette-vano ad essi di ammassare armi e soldati a poche centinaia di Km dall’Urss, ed è risaputo che la nostra penisola aveva un alto valore strategico perché situata a metà fra quello che era il blocco Nato e quello che era il blocco sovietico.

E’ stato scoperto negli anni recenti che molte basi USA in Italia servivano come “nascondiglio” per uomini impegnati in missioni speciali dei servizi segreti, come avvenne per la formazione GLADIO. (tutto questo è uscito fuori soltanto all’inizio degli anni 90, cioè dopo il crollo dell’URSS).
La storia d’Italia è stata profondamente influenzata dagli americani dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta dell’Urss e questo anche grazie alla presenza sul nostro territorio di queste basi, che permettevano un maggiore controllo e l’azione dei servizi segreti in alleanza con personaggi italiani.
Da noi la guerra fredda si è combattuta così.
Ma oggi, con la guerra fredda finita da un pezzo, come mai agli americani interessa ancora il nostro territorio?
Il fatto è che gli americani sono impegnati oggi nella cosiddetta “guerra al terrore”, volta a “distruggere” il terrorismo. Per il presidente Bush e la sua amministrazione esistono “stati canaglia”, paesi cioè pericolosi per l’occidente, che vanno contrastati anche in campo militare. Bush la chiama “guerra per la libertà”, ma molta gente ha seri dubbi su questa motivazione e trova invece il vero motivo di queste “guerre preventive” nell’interesse degli americani a controllare zone del mondo ricche di risorse naturali come petrolio e gas. Motivi economici insomma.

Le basi americane dislocate in Italia servirebbero perciò (e sono già servite) come rampa di lancio avanzata per future azioni belliche in Medio-oriente, che è e sarà ancora a lungo una “zona calda”.

Dico che sono già servite perché soltanto tre anni fa, per la guerra in Iraq, centinaia di carri armati partirono dalle più grandi basi americane italiane a bordo di treni merci e poi imbarcati su navi militari.
Forse qualcuno ancora ricorda i blocchi ferroviari che alcuni gruppi anti-militaristi fecero in quell’occasione e che oggi devono rispondere di gravi accuse. Loro sono sotto processo, mentre chi ha bombardato siede ancora sulle poltrone del potere.

Il corteo del 2 dicembre.
Nel nostro paese, per fortuna, esiste una grossa fetta di popolazione che non ha in simpatia le guerre, e che a maggior ragione non vuole che il suo territorio venga usato come deposito di armi e come rampa di lancio per aerei carichi di bombe e carri-armati.
Perciò si ribella quando vengono prese decisioni dall’alto: è da mesi che a Vicenza i cittadini si danno da fare costruendo comitati, raccogliendo firme, facendo un’opera di informazione capillare per dire no alla base, e pochi giorni fa, il 2 dicembre, erano in 30.000 a manifestare il loro dissenso, venuti da tutto il centro-nord Italia.
Un grande successo per una città che conta solo 100.000 abitanti, e per una protesta che era partita da poche migliaia di persone.

E’ un vero peccato, oltre a una grave forma di disinformazione, che le televisioni non ne abbiano parlato il 2 sera e che soltanto alcuni giornali il giorno dopo ne abbiamo raccontato la cronaca.

Sara, studentessa che il 2 era a Vicenza a sfilare insieme a quei trentamila, racconta a Carta Vetrata: “
c’era tantissima gente, praticamente tutta la città era in piazza. Davanti all’aeroporto Dal Molin, dove dovrebbe sorgere la base, alle finestre di tutte le villette c’era una bandierina bianca con scritto “No Dal Molin”. Nel corteo c’era tantissima gente di Milano, di Trieste e di Firenze, anche un sacco di bambini con le famiglie. Fra gli slogan più efficaci scritti sugli striscioni c’era: “L’Italia non si U.S.A.”, e poi quello storico “via l’Italia dalla NATO via la NATO dall’Italia. Vicenza si sta dando da fare tantissimo, raccolgono firme, organizzano assemblee anche nei paesi vicini...”

Oltre a dichiarare il loro rifiuto alla guerra i manifestanti motivano il loro no all’arrivo degli americani con la questione ambientale, (l’impatto di una base così grande sarebbe certamente imponente per il territorio, con cementificazione, continui movimenti di mezzi militari), con la questione sociale (vivere a pochi passi da una base colma di materiali bellici e con oltre duemila soldati non è cosa da poco, e altri episodi in giro per l’Italia testimoniano che può diventare un serio problema per la società che vive lì).

Come sempre c’è anche chi si dissocia dalla protesta. Per lo più sono alcuni commercianti o persone che in qualche modo ricaverebbero profitto dall’arrivo degli yankee.
Una manifestazione di trentamila persone non è cosa da poco, e ci si chiede cosa farà ora il governo. Il ministro della Difesa Parisi e degli esteri D’Alema, hanno detto nelle settimane scorse che il progetto della base è “compatibile con le politiche di difesa del nostro paese”. Ma poi non si sono più pronunciati.

La cosa certa però, vada come vada, è che gli americani troveran-no a Vicenza una resistenza tenace e decisa, resistenza che abbiamo già visto nei mesi e negli anni scorsi più volte in Italia: c’è infatti un nuovo modo di fare politica in questo paese, che non avviene più solamente sotto le bandiere dei partiti, ma che parte dai cittadini singoli, riuniti in comitati ed associazioni.

Moltissime lotte sociali di questi “anni 2000”, in Italia, hanno la caratteristica di essere mobilitazioni di cittadini, rivolte locali, che rivendicano il diritto a decidere su cosa si debba fare del territorio in cui vivono rifiutando decisioni imposte dall’alto, dallo stato centrale.

E’ il caso di Scanzano Jonico, di Acerra, della val di Susa, del ponte di Messina, delle battaglie contro la privatizzazione degli acquedotti…

Le ultime notizie.
9 gennaio 2007.L'ambasciatore americano Ronald Spogli, in visita a Vicenza, viene fortemente contestato da alcune centinaia di manifestanti. La sua auto è stata bloccata, e la polizia ha caricato i manifestanti. Una persona è rimasta ferita.
L'ambasciatore era a Vicenza per una serie di incontri istituzionali, e probabilmente per tastare il terreno in vista della possibile costruzione della base.
15 gennaio 2007. La maggioranza al parlamento si divide sulla base di Vicenza: Prodi prende tempo e non dice nè si nè no, mentre dai vari partiti della coalizione di centrosinistra arrivano prese di posizione diverse e opposte. La sinistra radicale (rifondazione comunista, comunisti italiani e verdi)sono nettamente contro la costruzione della base USA, e hanno infatti condiviso fino ad ora le proteste svoltesi nella cittadina veneta, ma la parte più moderata della coalizione si dice invece a favore, affermando che dire no alla base sarebbe un atto anti-americano.
Mi chiedo: è un atto anti-americano rinunciare ad essere ancora una volta servi della nazione più potente del mondo, donandogli pezzi di territorio per azioni belliche che neanche condividiamo?
(Lor.Pas)