24 novembre 2006

Così vicini, così lontani

Li conosciamo soltanto per i furti e le elemosina: sono gli zingari, popolo senza patria e con una lunga storia alle spalle.

Gli zingari cristiani si sono incontrati per una settimana di festa a cavallo del 24 maggio nella cittadina di Saintes-Maries-de-la-Mer, piccola perla della Camargue, come ogni anno. Da sempre i popoli nomadi dispersi fra le nazioni dell’Europa occidenta-le confluiscono qui, per venerare la loro santa protettrice, una “santa zingara”, e la sua statua nera, custodita nella cripta della cattedrale di questo soleggiato borgo costiero, e bagnarla nelle acque turchesi del Mediterraneo. Col tempo le variopinte e rumorose carovane di carri trainati da cavalli o da uomini sono diventate roulottes, automobili a volte di lusso, a volte (più spesso) bidoni traballanti, ma lo spirito è rimasto sempre lo stesso, quello di festeggiare, cantare,al ritmo del flamenco, conoscersi e per una volta, una volta soltanto in un anno, sconfiggere le distanze e la dispersione, e ritrovarsi uniti, come un popolo, non più soltanto una scomoda minoranza, ma come una vera “nazione”.

Scrivere di questa colorita ricorrenza è solo un piccolo tentativo di suscitare interesse verso un popolo che vive in mezzo a noi, ma di cui ignoriamo quasi completamente se non l’esistenza, sicuramente le abitudini, l’identità. Dovunque vivano, infatti, i nomadi sono sempre circondati da un alone di diffidenza e incomprensione (sentimento di solito ricambiato, ma non è una ragione valida per “chiudere gli occhi”e rinunciare a capire).

Per cominciare, sono i “sedentari” a partire con un giudizio negativo, a priori.
Basta aprire un dizionario per rendersene conto: i semplici termini “nomade”, o “vagabondo”, assumono immediatamente nelle nostre lingue una connotazione negativa, anzi spregiativa. E storicamente i popoli nomadi rappresentavano crudeltà, furti e razzie, qualcosa di cui avere paura, orde di “barbari” provenienti da terre sconosciute pronti a mettere a ferro e fuoco le città d’Europa.

In realtà, più che il ricordo di passate razzie è la paura di una così diversa visione del mondo, dalla paura che ciò che ci sembra di possedere di diritto sia in realtà una fragile convenzione, se la maggior parte dei popoli nomadi con cui abbiamo avuto a che fare erano dediti soprattutto ad attività pacifiche ed innocue.
Oggi non tutti lo sanno, ma i nomadi sono stati prima di tutto artigiani, allevatori e commercianti di cavalli, attività favorita e resa necessaria dal loro incessante andare (una passione che oggi si è trasformata in amore per le automobili), e celebri musicisti.
La proverbiale cialtroneria servì agli zingari ad insediarsi nell’Europa cristiana: false storie che li ritraevano come cristiani d’Egitto perseguitati dai musulmani; molti falsi di bolle imperiali e papali che obbligavano le autorità locali ad accettarli.
D’altronde è sempre per una serie di equivoci che nasce buona parte della tradizionale ostilità europea nei loro confronti: venivano infatti scambiati o equiparati ai saraceni. È con l’età moderna, però, che iniziano le più dure persecuzioni, che hanno raggiunto il culmine nella seconda guerra mondiale. Ma oltre alle persecuzioni, è il tentativo di assimilazione da parte delle popolazioni stanziali a minacciare l’identità nomade. E dei princìpi, dei modi di vedere la vita, radicalmente diversi. Ai nostri occhi, sono deprecabili, oltre alla tendenza a commettere furti (e attribuirla, generalizzando, a tutto un popolo), l’incapacità di lavorare, di “metter su casa”, la apparente sporcizia, il fatto di non mandare i figli alla (nostra) scuola…
D’altra parte siamo noi, dal loro punto di vista, a compiere abitualmente azioni viste come immorali. Il lavoro salariato per esempio è vissuto dai nomadi che sono o sono stati costretti a farlo, come un furto di tempo, qualcosa che stravolge i ritmi naturali che essi hanno e che si sentono in diritto di avere. In molti Paesi si è tentato di integrarli in questo modo, come in quelli dell’ex Europa comunista, il risultato è stato fallimentare: altissimo grado di assenteismo dal lavoro, e bassissima produttività.

Quanto ai furti, bisogna considerare che essi hanno un concetto molto più blando di proprietà privata (i beni sono in genere spartiti fra tutti i membri dei clan) e, se questo non giustifica nulla, dal loro punto di vista, anche la nostra proprietà, ad esempio della terra, e il fatto di sfruttarla per ricavarne profitto, di spremerla fino all’osso, potrebbe essere vista come un sopruso.

C’è anche una tendenza opposta, quella di idealizzare il “popolo del vento”, attribuendogli caratteri romantici, libertari (da cui i bohémiens), che si traducono in una serie di stereotipi e di semplificazioni. Primo fra tutti, anche se può sembrare sorprendente, lo stesso nomadismo. Oggi moltissimi zingari sono di fatto sedentari, e molti lo sono tradizionalmente, e vivono in baracche e in case normali. Nell’Europa dell’Est esistono numerosi “quartieri zingari”. È diffusa inoltre la convinzione che ci sia un “popolo zingaro”, mentre questo termine, come altri affini (gitano, gypsy, camminante…) sono stati attribuiti dai “gagè”, i non zingari, a gruppi così diversi da non poter certo essere definiti come un unico popolo. Cambiano le tradizioni, le lingue, di gruppo in gruppo, conservando tracce degli idiomi dei paesi che ha attraversato, così come le religioni, che, sotto una pellicola di cristianesimo, o islamismo, conservano tracce di miti e di culti antichissimi.

Resta il problema di un popolo disadattato, che i tempi stanno spingendo a rendere simile agli occidentali senza tuttavia integrarsi: il primo passo verso una soluzione è, prima di tutto, conoscere.

-Marco Ranocchiari-

13 novembre 2006

Bombe e terremoti

La notte del 9 ottobre, la Corea del Nord ha eseguito un test nucleare sotterraneo, il primo della sua storia. Diventa in questo modo il nono paese del mondo ad avere la bomba atomica.
La Corea del Nord ha fin da subito dichiarato di aver eseguito il test, per chiari motivi di immagine (devono far vedere che sono forti), ma se avesse tenuto segreta l’esplosione, noi lo avremmo potuto sapere?
La risposta è si.
Le esplosioni nucleari sotterranee infatti, liberano una enorme quantità di energia. Attorno al punto di deflagrazione si generano pressioni fortissime e temperature nell’ordine dei milioni di gradi, mentre l’onda d’urto provoca la frantumazione delle rocce in una fascia più o meno concentrica. Queste esplosioni tremende provocano quindi, come i terremoti,
delle onde elastiche, registrabili dai sismografi di tutto il mondo.


Ma nel mondo avvengono ogni giorno decine e decine di terremoti, come si può distinguere quelli naturali da quelli provocati attraverso esplosioni nucleari?
Esistono delle differenze, e da queste differenze si risale al tipo di causa: per esempio nelle esplosioni nucleari non essendovi slittamento di faglie, le onde P (cioè il tipo di onde sismiche di compressione-dilatazione) hanno sempre una prima fase caratterizzata da movimento compressivo e si propagano attorno al punto d’esplosione in modo radiale, in tutte le direzioni.

Quindi qualsiasi sismografo intorno alla zona dell’esplosione rileva che la prima onda P ad arrivare è di compressione. Quando avvengono terremoti naturali invece, la prima oscillazione di onda P rilevata dai sismografi intorno all’epicentro può essere o di compressione o di dilatazione, a seconda del posto in cui il sismografo si trova: ricordiamo infatti che i terremoti naturali sono generati da rotture improvvise all’interno della litosfera, nelle quali si ha
movimento relativo delle masse rocciose lungo un piano di frattura. Quindi le onde P non si propagano in modo radiale attorno al punto di rottura.
(vedi figura qui sotto):
a.slittamento di due masse rocciose
b.esplosione

E’ controllando tutti questi fattori che dal 1963 e per tutta la guerra fredda, USA e URSS si sono tenuti d’occhio a vicenda: le due super-potenze di allora infatti, avevano deciso di effettuare a partire dal 1963 soprattutto test atomici sotterranei, per evitare di contaminare il mondo coi loro continui esperimenti in superficie.
Per sapere quando e come il nemico stava eseguendo un test, furono monitorati quotidianamente i terremoti rilevati dai sismografi, e si distingueva nel modo appena descritto quelli naturali da quelli causati da test.

Tornando alla Corea del Nord: anche la bomba fatta esplodere poche settimane fa è stata rilevata dai sismografi. Se andate sul sito della USGS (United States Geological Survey)che è l’agenzia scientifica americana di controllo del territorio, potete vedere la scheda del sisma provocato dalla bomba. http://neic.usgs.gov/neis/bulletin/neic_tqab_m.html






















Sul sito dell’Istituto di Geologia e Vulcanologia Italiano invece, alla pagina http://www.ingv.it/~roma/framesx/progetti/CTBTO/Controlloesplosioni.html#Anchor-Fondamenti-6638 , si trovano informazioni sulla partecipazione italiana al Progetto di controllo del Trattato di Proibizione Totale delle esplosioni nucleari, gestito dall'ONU. Usando gli stessi metodi spiegati prima viene così controllato che le nove nazioni in possesso di bombe atomiche rispettino il trattato. La Corea lo ha appena violato.


UNA NOTA:
Ci sono 27 mila bombe atomiche nel mondo.
Gli unici paesi che le possiedono sono gli Usa, la Russia, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna, Israele, l’India e il Pakistan.
Adesso si aggiunge anche la Corea del Nord, portando a nove il numero dei “bombaroli”.
Le nazioni che ne hanno di più sono gli USA (ne ha migliaia), e la Russia, mentre la nostra vicina di casa, la Francia, ne ha circa 350.
E noi?
Bè, l’Italia per fortuna l’atomica non ce l’ha.
O meglio, non ce l’ha lo stato italiano, perché in realtà sul nostro territorio di testate nucleari ce ne sono eccome!

Sapete che nel nostro paese ci sono oltre cento basi militari americane? Ebbene, fra la base di Aviano in provincia di Pordenone e quella di Ghedi Torre in provincia di Brescia, sono stoccate ben 90 bombe nucleari. Americane.


-Lorenzo Pasqualini-

06 novembre 2006

Un libro

Jared Diamond:
“Armi, Acciaio e Malattie”
Storia dell’umanità negli ultimi 13.000 anni.


L’uomo si è evoluto in Africa.
Anche l’homo sapiens ha iniziato il suo cammino li.
Perché allora non sono le etnie africane e le loro culture a dominare i continenti?
In Mesopotamia, nel Vicino Oriente e in Egitto sono fiorite civiltà ed imperi maestosi. Perché oggi non sono i loro eredi a dettare legge?
La Cina all’inizio del ‘500, cioè quando sono iniziate le grandi “scoperte” e, quindi, le grandi conquiste, aveva la tecnologia navale più avanzata e le strutture statali e militari più efficienti. Perché non sono stati i cinesi a girare subito gli oceani e a derubare le Americhe, l’Africa e l’Oceania delle loro risorse?
Cortès e Pizarro, con poche centinaia di soldati malconci hanno rovesciato imperi di guerrieri. Perché non sono stati gli imperatori inca e aztechi a spedire i loro eserciti oltre l’Atlantico?
Alla domanda “Perché noi bianchi ci siamo evoluti tecnologicamente più di tutti e abbiamo così potuto colonizzare quasi tutte le altre etnie e culture?”, tu, cosa risponderesti?

(Stefano F.)

03 novembre 2006

Multinazionali criminali, 1° puntata : LA COCA COLA

Sono milioni le persone che bevono la Coca Cola, nel mondo.
Questa bibita analcolica, inventata poco più di cent’anni fa negli Stati Uniti, è diventata nel tempo la più conosciuta, la più pubblicizzata e la più comprata in tutto il pianeta.
In qualsiasi città andiate, dall’Europa all’Asia, dall’Oceania all’Africa, troverete il famoso logo bianco in campo rosso.
Ma se è vero che tutti la conoscono, probabilmente non tutti sanno che dietro la sua produzione ci sono gravi ingiustizie, e che i dirigenti della Coca Cola company (multinazionale che fattura ogni anno 22miliardi di dollari), devono rispondere di atti criminali quali “violazione dei diritti umani”.

Cosa combina la Coca Cola nel mondo?
Andiamo per ordine.

COLOMBIA.
Paese dell’America latina confinante a nord con lo stato di Panama, con il Venezuela ad est, con Ecuador e Perù ad ovest, con il Brasile a sud.

Qui, da oltre quarant’anni si combatte una guerra civile fra le FARC (forze armate rivoluzionarie colombiane), e l’esercito.
Si tratta di una guerriglia fatta di attentati, agguati, da entrambe le parti. In questo clima di grande confusione e violenza le persone che si battono in modo pacifico per i diritti umani e che portano avanti lotte sociali pacifiche (come per esempio i sindacalisti) vengono travolte nella mischia: pensate che sono oltre tremila i sindacalisti uccisi in Colombia dal 1991 ad oggi, da bande paramilitari che agiscono impunemente, cioè con la copertura del governo.

Il governo colombiano infatti, con la scusa della guerra contro i ribelli delle FARC (che vengono definiti terroristi), ha instaurato nel paese un clima di repressione che coinvolge anche quelli che con la guerriglia non c’entrano nulla, e che portano però avanti richieste di MAGGIORE GIUSTIZIA, MAGGIORE SICUREZZA SUL POSTO DI LAVORO, MAGGIORI STIPENDI.

(bisogna sapere che i lavoratori in Colombia, siano essi braccianti o operai, sono mal pagati e sfruttati, senza diritti sindacali).

Il massacro di sindacalisti in Colombia quindi, che viene giustificato dal governo come
l’effetto della “guerra al terrorismo”, non è altro che una gigantesca repressione ai danni di chi cerca di ottenere maggiori diritti.

E la Coca cola, cosa c’entra in tutto ciò?

C’entra eccome! Il sindacato del settore agroalimentare colombiano (SINALTRAINAL) denuncia da anni l’uccisione di lavoratori della COCA COLA ad opera di bande paramilitari . Questi lavoratori ammazzati, sono tutti sindacalisti che chiedono migliori stipendi e migliori condizioni di lavoro ai loro dirigenti, nelle industrie di imbottigliamento della “magica” bevanda gassosa.

E’ evidente che s’è trattato di una feroce repressione.

I morti ammazzati finora sono 8, oltre alla lunga serie di minacce ed intimidazioni che sono state fatte a centinaia di altri lavoratori, del tipo: se ti iscrivi al sindacato t’ammazziamo, oppure torture, sequestro di familiari, incendio della casa eccetera.

Insomma, la Coca Cola è accusata in Colombia di approfittare del clima di guerra e repressione già esistente da tempo, per far uccidere impunemente i personaggi “scomodi” che lavorano nelle sue industrie e per terrorizzare chiunque “osi” iscriversi al sindacato.

Il SINALTRAINAL, il sindacato, è riuscito a portare la Coca Cola company in tribunale, alla corte
federale di Miami, dove il giudice ha affermato che ci sono abbastanza prove per portare avanti il processo.
Ha inoltre lanciato una campagna di boicottaggio internazionale chiedendo ad ogni persona di ogni paese di non comprare prodotti della Coca Cola.

La campagna di boicottaggio si allarga ogni anno di più, ed è stata persino intrapresa da alcune istituzioni che hanno rifiutato lo sponsor della Coca Cola in alcune manifestazioni pubbliche come concerti ed eventi sportivi.
Altro evento importante è la decisione di alcune amministrazioni
locali come il municipio XI di Roma, il comune di Fiano Romano, Empoli e altri, di escludere i prodotti della Coca Cola dai distributori automatici delle proprie strutture pubbliche.


Anche negli Usa , patria della Coca Cola, il più grande ateneo privato (la New York University), ritirerà la bevanda dai distributori automatici e dalle mense, e presto anche altri poli minori seguiranno la stessa via.

A cosa serve il boicottaggio?
E’ l’unica forma di protesta che i consumatori possono portare avanti contro le grandi marche.
E se questa protesta è massiccia ed è accompagnata da una rivendicazione politica (del tipo: se non migliorate le condizioni dei lavoratori io non vi compro), queste grandi aziende possono essere costrette a rivedere le loro posizioni. E’ sufficiente che una multinazionale subisca una perdita del 5% del totale nelle entrate, perché vada in difficoltà.

INDIA.
Grande paese dell’Asia meridionale, uno dei più popolati del mondo,
con oltre un miliardo di abitanti.

Qui la Coca Cola è accusata di aver provocato, con i suoi impianti di imbottigliamento, l’abbassamento delle falde acquifere in determinate zone. Va detto al riguardo, che per fare un litro di coca cola ci vogliono ben 9 litri d’acqua. La quantità di acqua prelevata è quindi enorme.
Nel Kerala, una regione dell’India, le popolazioni locali si sono trovate coi pozzi asciutti e con l’impossibilità di dissetarsi ed irrigare i campi perché le falde sono state praticamente prosciugate dalle industrie di imbottigliamento della Cola.
.
Di fronte alle forti proteste che le comunità locali hanno portato avanti, al boicottaggio dei suoi prodotti, e davanti alla sentenza di un tribunale indiano (il quale ha ribadito che l’acqua è un bene di tutti e non può essere oggetto di proprietà privata) la multinaziona-
le è stata costretta a chiudere alcuni impianti ed ha visto diminuire le sue entrate in India del 18%.

A inizio agosto 2006 inoltre, ben quattro stati indiani hanno vietato la vendita di Coca Cola perchè alcune analisi condotte sulle bibite hanno trovato tracce di diserbanti, dannosi alla salute. Questi pesticidi erano probabilmente contenuti nell’acqua di falda che la compagnia statunitense ha “succhiato” dal territorio.

ALTRI DATI SULLA COCA COLA.

Nel 2000 è stata costretta a risarcire 2200 lavoratori afroamericani per discriminazioni razziali nelle assunzioni e nelle produzioni.

L’uso di alluminio per la produzione delle lattine di Coca Cola ha un impatto ambientale enorme, sia nei luoghi di estrazione che, in seguito, quando la lattina diventa “rifiuto”.

Denunce di intimidazioni ai danni di lavoratori iscritti al sindacato sono arrivate anche da lavoratori della coca cola in Turchia, Guatemala, Pakistan, Russia.

FONTI DELL’ARTICOLO:
www.nococacola.info
www.sinaltrainal.org
www.indiaresource.org

[Una piccola nota: multinazionali sono tutte quelle imprese che controllano almeno una filiale all’estero. Ce ne sono di piccole (come le imprese italiane che aprono filiali in Romania, dove la manodopera costa meno) e di enormi, come la Coca Cola o la Mc Donald’s. Queste ultime hanno un fatturato in dollari ben superiore al PIL di certi paesi poveri del globo. Queste enormi aziende possono arrivare ad essere dei micro-stati all’interno di paesi poveri, dove esse sfruttano la carenza di diritti umani e di protezione dell’ambiente per avere profitto. Spesso inoltre, prendono le risorse naturali di questi paesi e le portano via, nei loro ricchi paesi d’origine, lasciando agli abitanti di quei luoghi solo le briciole. E’importante denunciare quando una multinazionale, così come uno stato, compie ingiustizie ai danni della gente.]

-Lorenzo Pasqualini-

"Non nominarlo invano"

Nel XXI secolo, l’evoluzionismo fa ancora paura.

(Charles Darwin)

Eccoci qua, davanti alle tanto attese GRADUATORIE per l’accesso alle lauree specialistiche.
Il mio sguardo corre subito verso quelle della mia laurea specialistica: “biologia evoluzionistica”… 11!!! 11 nuovi evoluzionisti su 235 domande! Non mi aspettavo tanta abbondanza! Guardo i risultati delle altre specialistiche: il tutto esaurito si registra nella “biosanitaria” e nella “genetico-molecolare”.
Dopo la gioia, affiora spontaneo un ragionamento: l’evoluzione non tira, i biologi preferiscono altri indirizzi, che danno più possibilità di trovare lavoro. Mi sono sentita dire: “quando entrerai in un laboratorio nessuno ti chiederà chi era Darwin, dovrai solo premere dei pulsanti”… BELLO!!! Ho studiato 5 anni (se tutto va più che bene) per “premere dei pulsanti”! Per fortuna l’aspirazione di un “biosanitario” non è di premere pulsanti in un laboratorio e non c'è bisogno di iscriversi ad un corso di laurea specialistica in biologia evoluzionistica per conoscere Darwin o la teoria degli equilibri punteggiati, ma a questo punto la domanda sul destino dell’evoluzionismo rimane: osservo nei mezzi di informazione una certa indifferenza sull’argomento.
A cosa è dovuto questo disinteresse? Mi guardo un po’ intorno e immediatamente un individuo spicca alla mia attenzione: il papa.
Se nel 2006 abbiamo un Chiesa ancora così reazionaria come possiamo pretendere, in Italia, che la gente si interessi di Darwin? Che non dico gli equilibri punteggiati, ma almeno DARWIN!

Eppure c’è ancora chi scrive: “Non è Darwin che fa paura, ma semmai il lavaggio evoluzionista
del cervello che viene fatto con i soldi di tutti” (Franco Damiani, dal sito di Forza Nuova) e ci sono ancora “scienziati” che sostengono il creazionismo.
Ma come si fa a sostenere, da scienziati, una fede? Uno scienziato può sostenere una teoria e il creazionismo non lo è!
È come se un geologo dicesse che la Terra è piatta, gli riderebbero in faccia! E allora perché se un “biologo” dice: “Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza” non succede lo stesso? E, addirittura, l’anno scorso, l’allora ministro dell’istruzione, Letizia Moratti, pretende di togliere l’insegnamento della teoria evolutiva dalle scuole? “Perché a quell’età non si è pronti”… e certo, prima di tutto il catechismo, poi, chissà, se Dio vuole (o il Vaticano), Darwin… embè, sennò poi il ragazzino diventa schizofrenico e potrebbe fare domande del tipo: “Ma ha ragione il prete o il prof di scienze?”.
Comunque, per ora, l’insegna-mento dell’evoluzionismo è salvo, ma poi… salvo in che senso? E vabbè che gli insegnanti sono tutti comunisti (…), ma chi è che ha studiato Darwin a scuola? Al di là del collo della giraffa, io non ricordo altro! Che poi, così sei convinto che Lamarck era uno scemo e in realtà era un grande evoluzionista anche lui!
Ma cosa sta alla base dell’anti-evoluzionismo? L’ignoranza.
Fino a che la gente sarà ignorante potrà credere che evoluzione e creazione sono 2 teorie e ovviamente sceglierà quella più giusta, quella che ci insegna Dio per bocca del papa. Il problema è il non farsi domande, l’accettare la parola così com’è. E quand’è che l’essere umano comincia a farsi domande? Quand’è bambino! Se a quell’età gli si dice: “Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza” e magari lo si mette in guardia dal criticare La Parola, lui crescerà con questa frase stampata in testa e non vorrà che la si metta in discussione. La chiesa gioca su questo: ignoranza, paura.

E così la Moratti e Sermonti (1) diventano i difensori della parola divina, contro gli scienziati eretici e, magari, comunisti!

(1)Giuseppe Sermonti: genetista noto come oppositore dello scientismo; ha pubblicato numerosi libri tra cui “Dimenticare Darwin” (1999), come giornalista combatte la fecondazione assistita, l'espianto degli organi, la sperimentazione animale.


-Valeria Pasqualini-

A rischio le barriere coralline

Gli ultimi dati UNEP (programma ambiente delle nazioni unite), parlano chiaro: dei 255mila Km quadrati di barriere coralline del mondo, circa il 70% è a serio rischio.
L’allarme è giunto dalla NASA, che ha monitorato 1700 immagini da satellite, giungendo alla seguente conclusione: il 20% di questo insostituibile patrimonio di biodiversità già sarebbe scomparso, un 24% è attualmente in serio rischio di collasso, mentre un restante 26% è minacciato a lungo termine.
Cosa sta causando questo disastro ambientale?
In primo piano figura il “global warming”, cioè il riscaldamento globale, che sta causando un’acidificazione degli oceani riflettendosi quindi fortemente sullo stato di salute delle barriere.
Anche l’inquinamento e l’aumento della melmosità dell’acqua hanno gravi conseguenze: quest’ ultimo fattore provoca una diminuzione della trasparenza delle acque, ostacolando i raggi solari e dunque il processo di fotosintesi delle alghe, indispensabili perché il corallo si sviluppi.
In proposito ricordiamo che i coralli crescono in zone tropicali, in acque trasparenti (e perciò non crescono nelle acque torbide che si trovano per esempio alla foce dei fiumi). Crescono in associazione alle alghe verdi, che sono organismi eufotici, (organismi che hanno bisogno di molta luce), e vivono perciò a basse profondità (non più di –40 m), lì dove i raggi
del Sole arrivano ancora in abbondanza.

Oltre al riscaldamento dell’acqua oceanica, all’aumento di inquinamento e della melmosità, bisogna considerare anche la pesca di frodo, che spesso viene effettuata con vere e proprie esplosioni sottomarine e che dà un forte contributo alla distruzione di questo meraviglioso ecosistema.

Le zone maggiormente deteriorate sono situate nel sud-est asiatico, dove il tasso di distruzione va dal 38% al 45%, mentre le barriere coralline che si trovano in Australia, nel Mar Rosso e nel Pacifico beneficiano di una maggiore salvaguardia ed hanno quindi un tasso di distruzione del 2-4%.


-Giulia Guidobaldi-

Il mistero del Moby Prince

La sera del 10 aprile del 1991, nella rada del porto di Livorno, avvenne un evento tragico.
Un traghetto appena salpato e diretto ad Olbia, in Sardegna, di nome “Moby Prince”, colpì in pieno una petroliera dell’Agip che si trovava alla fonda, la “Agip Abruzzo”.
Lo scontro fu tremendo e il traghetto, investito dal petrolio fuoriuscito dalla falla apertasi nella petroliera, iniziò a bruciare come una torcia.
Morirono 140 persone, solo un uomo riuscì a salvarsi.


La versione ufficiale dell’accaduto è la seguente: quella sera c’era una fitta nebbia davanti Livorno e inoltre era in corso una importante partita di calcio (precisamente la finale di coppa UEFA Juventus-Barcellona), che l’equipaggio della Moby stava seguendo in tv; dunque la nebbia e la disattenzione sarebbero
state le cause della tragedia, oltre a qualche difetto nel sistema radar…
Questa la versione ufficiale, data dalla capitaneria di porto di Livorno solo 10 giorni dopo il disastro, e confermata dal processo durato per due anni, terminato nel 1997 con l’assoluzione di tutti gli imputati (uomini della petroliera e responsabili dei soccorsi, arrivati con molto ritardo).




(nella figura: prima pagina
di un quotidiano, 11 aprile 1991)

Ma sono tanti i punti oscuri su cui non si è affatto indagato, se non in modo superficiale, e sono tante le stranezze di quella tremenda notte, tanto che leggendo libri-denuncia come quello di Enrico Fedrighini “Moby Prince, un caso ancora aperto”, che hanno fornito prove grazie alle quali il processo verrà riaperto (notizia del 13ottobre), fanno apparire quella storia come un incredibile e intricato giallo internazionale. Ma vediamo qualcuno dei punti più importanti che smontano la tesi della fatalità e della distrazione dell’equipaggio.


(nella foto: il Moby Prince a incendio domato )
PRIMO. Da numerose testimonianze risulta che quella notte non c’era affatto nebbia sul mare davanti Livorno.
SECONDO. Non c’era nessuna televisione nella plancia di comando del Moby Prince, e quindi anche la tesi della partita “distrattrice” sarebbe falsa.

TERZO. Da alcune barche ancorate in rada furono viste delle navi allontanarsi rapidamente dal luogo della collisione, mentre già il Moby bruciava. Perché non prestarono soccorso? E soprattutto che ci stavano a fare lì, quando ufficialmente non dovevano esserci?

QUARTO. Da un’analisi attenta risulta che il Moby Prince colpì la petroliera mentre tentava di rientrare in porto, e non mentre se ne allontanava! Perché questo dietrofront?

QUINTO. La “scatola nera” posta sul timone del traghetto scomparve dal relitto, così come fu stranamente tagliato il nastro amatoriale girato da un passeggero del traghetto, poi morto nell’incendio, proprio nei minuti del disastro.

SESTO. Quella sera, nella rada del porto di Livorno, c’erano ben 6 navi militari americane, impegnate in un’operazione di sbarco di armi: vicino Livorno infatti c’è la grande base USA di Camp Derby, dove sono ancora oggi stoccate migliaia di armi e mezzi militari americani. Quelle navi erano appena tornate dalla guerra del golfo, conclusasi un mese prima. (la prima guerra del golfo s’è svolta dal gennaio al marzo del 1991).Ma quell’operazione non doveva avvenire di notte. E poi gli americani avevano annunciato la presenza di sole tre navi, mentre oggi sappiamo che ce n’erano sei!

SETTIMO. Nei momenti dell’incendio molti testimoni videro un elicottero volteggiare sulla zona prima di scomparire. L’elicottero non era né dei soccorsi né delle forze armate italiane. A chi apparteneva? Dopo quindici anni ancora non lo sappiamo, e gli americani della base di Camp Derby non hanno mai permesso agli italiani di indagare sugli elicotteri parcheggiati nella base.

OTTAVO. I radar delle navi di soccorso andavano in tilt appena si avvicinavano alla zona della collisione. Perché?

NONO. Un’altra nave, descritta dall’equipaggio della petroliera come un peschereccio bianco, venne vista attraversare rapidamente le acque del porto quella sera. Ma che ci faceva un peschereccio di notte, in mezzo a tante navi militari?

DECIMO. Con certezza si sa che nell’aprile del 1991 era ancorato nel porto di Livorno il peschereccio “21Ocktobar II”, una nave regalata dallo stato Italiano alla Somalia per aiutare (nel quadro della cooperazione) questo paese africano fornendogli mezzi.
Ufficialmente la nave era in riparazione, ma il pomeriggio del 10 aprile fu vista una bettolina rifornire i suoi serbatoi. Perché? Che fosse proprio la “21 Octobar II” la nave bianca vista correre nel mare quella sera?
UNDICESIMO. La nave 21Ocktobar II, sarà oggetto due anni dopo di un’ indagine giornalistica da parte di Ilaria Alpi, giornalista del Tg3, uccisa poi nel marzo del 1994 a Mogadiscio, capitale della Somalia, assieme al cineoperatore Miran Hrovatin. Una delle ipotesi più accreditate , per non dire certe, è che Ilaria Alpi sia stata
uccisa perché aveva scoperto con la sua indagine giornalistica qualcosa che NON DOVEVA SAPERE: e cioè un traffico d’armi fra Somalia ed Italia che avveniva utilizzando le navi della cooperazione, ufficialmente dei pescherecci. Fra questi pescherecci c’era pure la 21OcktobarII.
Ilaria Alpi sarebbe stata uccisa perché con la sua indagine aveva scoperto qualcosa di enorme, in cui c’entravano i militari americani, lo stato italiano, e i 140 morti del Moby Prince? Naturalmente, essendo il processo aperto, queste sono “soltanto” ipotesi.I punti che ho elencato sono però dati di fatto.
(per qualche dato in più vai su:
http://www.diario.it/index.php?page=cn05071549

P.S.

Il processo sul Moby Prince è stato riaperto, e stavolta a disposizione dei magistrati ci saranno anche delle nuove prove: SONO 5 FOTO SATELLITARI scattate da stazioni satellitari tedesche e spagnole la mattina del 10 e dell’11 aprile proprio sopra la zona di Livorno.
Non furono prese in considerazione, all’epoca, ma oggi potrebbero SERVIRE A far luce sui misteriosi movimenti che avvennero quella sera, e far chiarezza suquesta ennesima pagina nera della storia d’Italia .

- Lorenzo Pasqualini-